Articolo 3:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
quinta-feira, 8 de outubro de 2009
quarta-feira, 19 de agosto de 2009
Il viaggiare
Ho cominciato a pensare al viaggio come ad una catarsi.
Catarsi della mente, del corpo e dell'anima. Mi e' sempre piaciuto viaggiare sin da piccola, quando i miei, durante quasi tutte le estati della mia infanzia decidevano di mettersi in macchina, alla scoperta del Sud. Amavano i campeggi i miei, e sempre campeggiavamo, prima con la nostra tenda, poi con una roulotte comprata negli ultimi anni prima che compissi i 18 anni. Il mio ultimo campeggio estivo con i miei genitori e mia sorella. In quegli anni ricordo io la mia mamma e la mia sorellina partivamo per il Gargano nel mese di Giugno, alla chiusura delle scuole e facevamo ritorno a casa solo in Settembre. Mio papa' ci raggiungeva durante i fine settimana per poi stabilirsi con noi nel mese di Agosto. Penso che nei campeggi mi e' cominciata a venire l'allergia per la casa, l'allergia per le quattro mura. Ricordo infatti che tornati a casa gia' mudavo di umore, sempre arrabbiata e con il broncio, al pensiero di dover passare mesi invernali al chiuso sino al prossimo Giugno. Ma il viaggiare inteso come spostarsi da una parte ad un'altra, alla scoperta di nuovi luoghi mi lasciava tranquilla e serena: mia mamma me lo ricorda ancora quando mettendomi in macchina, sul sedile posteriore, avevo solo pochi mesi, pochi anni, mi addormentavo tranquilla e spensierata, senza un pianto ne' un capriccio. Ho dovuto poi attendere i 19 anni per il mio primo e vero viaggio. Un Interrail alla scoperta della Francia, Olanda, Belgio e Lussenburgo, con una scappatina a Londra, in nave. Ricordo ancora, come se fosse oggi, l'emozione e l'adrenalina che sentivo quando ho messo piede su quel treno chedall'estrema Puglia ci avrebbe portato a Ventimiglia. Ma il viaggiare come mutamento di vita ho cominciato a sperimentarlo all'eta' di 12 anni, quando per rimettere in sesto un assetto familiare devastato dai continui tentativi di separazione dei miei (rido a pensare di parlare di questo con una tranquillita' esuberante, come a dire, il tempo rimargina le ferite), mio padre covince mia mamma a trasferirsi a Canosa di Puglia, a 30 Km. dalla mia citta' di origine, Andria. Se posso testimoniare che sia stata una catarsi per i miei genitori, non lo e' stata affatto per me. Strappare una ragazzina nella prima fase dell'adolescenza dai suoi amici, dal suo precario equilibrio mi e' costato molto dal punto di vista psicologico-evolutivo. Ho sempre odiato quella citta', pur essendo stata una tappa importante della mia vita, nel passaggio ad una adlescenza piu' matura. E' in quella citta' che ho fumato la mia prima sigaretta, ho baciato il primo fidanzatino, ho fatto "filone" a scuola la prima volta (termine che indica il bigiare la scuola).Ed e' li' che sono diventata una cima, essendo divenuta la prima della classe. Finita la scuola dell'obbligo ho cominciato un viaggiare continuo senza sosta dal quale non sono ancora venuta fuori. Andria, Francavilla al Mare, Bologna e la lunga pausa universitaria, Londra, Danimarca per poi arrivare in Africa: Mozambico, Sud Africa, Botswana, Zambia e di nuovo Mozambico. 10 anni di viaggi. Ma piu' che viaggiare questi paesi, li ho abitati tutti e tastati sulla mia pelle. Periodi bui intervallati da periodi fantastici ed estremamente positivi come quelli che vivo da due anni.
Viaggiare mi fa rinascere sempre. Viaggiare mi ha aperto la mente e il cuore. Viaggiare mi ha portato ad avere conoscenze, ma anche molti amici, in tutte le parti del mondo. Viaggiare mi purifica. Ma non tutti i tipi di viaggio. Preferisco quelli in treno, o da quando sono in Africa, in machibombo (il nostro bus, ma molto molto differente dal nostro primo mondo).
Viaggiare e' scoprire meglio se stessi, avere il tempo di guardarsi dentro e fuori, cosa che alle volte non abbiamo il tempo di fare. Il viaggio piu' bello e' quella da soli con se stessi o come ho imparato, in viaggio con tutto il mondo. Era l'estate 2005. Tanti eventi strani quell'anno culminati in una piccola pazzia. Stanca di tutto e di tutti decido che e' ora di prendere le redini in mano, definitivamente, un po' di coraggio e 0 paura. Destinazione Andalusia. Non so in realta' cosa hanno pensato i miei, quando di ritorno da Bologna, dove stavo preparado la tesi di laurea che avrebbe messo fine ad un altro viaggio statico nella pianura padana durato 5 anni, ho cominciato a fare la valigia e chiesto gentilmente se avessero qualcosa in contrario ad accompagnarmi a Civitavecchia per prendere la nave. Come al solito babbo, non nascondendo la sua invidia, mandava segni che alludessero...per favore mettimi nella tua valigia, mentre lo sguardo di mia mamma era molto piu' sul "Da sola? Ma non e' pericoloso?". Solo prima di mettere piede sulla nave, mentre mio papa' cercava definitivamente di farsi cosi' invisibile tanto da infilarsi sul serio nel mio bagpack, lei, dal suo trono: " okok, ma un messaggio al giorno ok?".
Ho avuto, in effetti dei genitori fantastici, dai quali, a partire dall'eta' di 16 anni, non ho mai sentito la parola: No, non puoi farlo!!! Molte volte penso che non potrei essere come loro nei confronti di un figlio. Babbo certo mi considera l'uomo di casa:" Non preoccuparti" dice spesso a mia mamma "lei sa cosa fa". Lei invece pur essendo quasi 10 anni che vivo fuori casa non ha perso l'ansia di sapere dove mi trovo. Non e' raro trovare 14 chiamate per poi sentirmi dire "Ma mi devi dire qualcosa? Stai bene? " Ioooooooooo??? Certo che e' il minino che possa aspettarmi, non ho assolutamente niente per cui lamentarmi. Insomma qual viaggio in Andalusia mi ha fatto ricredere, o forse credere in me, per la prima volta nella mia vita. Il mio primo viaggio da sola, come ho gia' detto, ma piu' che altro il mio primo viaggio con il mondo intero, sapendo parlare, oltretutto, solo l'italiano. Un mese alla ricerca delle mie origini zingare che penso abbia trovato li', in quelle grotte gitane della citta' di Granada. Nessuno in effetti mi scambiava per turista. Tutti, e succede sempre anche ora, mi chiedono se non sia spagnola. Sara' forse il mio modo di vestire, un po piu' "abbandonato" rispetto al "fighetto" italiano. Barcellona, Valencia, Malaga, Granada, Cordoba, Siviglia e Tarifa le citta piu' importanti che ho visitato. Cordoba e la sua magia araba mi sono rimaste nel cuore, Se dovessi un giorno tornare a vivere in Europa, forse sceglierei proprio l'Andalusia, ma questo non e' un nuovo pensiero. Sono tornata da questo viaggio con le lacrime agli occhi, mentre guardavo le onde del mare spumeggiare di felicita'. Forse per la prima volta nella vita non avevo avuto paura. Quel viaggio e' stata la consapevolezza che viaggiare e' CATARSI. La catarsi di Platone: liberazione e purificazione del corpo e dell'anima. O come Sigmund Freud affermava la catarsi aiuta a comprendere il senso evolutivo delle proprie esperienze di vita, riappropriandosi delle proprie energie fino a quel momento inpegnate in meccanismi di difesa a mantenere gli equilibri, Quel viaggio mi ha dato infatti un 'energia nuova, devastante, di una Tina definitivamente cresciuta.
Ricordo perfettamente il giorno della mia laurea. A tutti i miei amici avevo regalato un fiore, una rosa con in bigliettino annesso che diceva piu' o meno...sono alla fine di questo bellissimo viaggio, ma ora comincero a viaggiare alla scoperta della mia isola. Una persona importante nella mia vita mi ha sempre contrariata, affermando che viaggiare non e' assolutemente catarsi, e' soltanto un mudare di ambiente, di luoghi. Muda il di fuori, ma il tuo di dentro rimarra' lo stesso. Sarei curiosa di sapere se e' della stessa opinione anche oggi!!!
Quindi dopo la laurea mi ero ripromessa che era arrivato il momento di Viaggiare. Ero stata troppo ferma a Bologna, per 5 anni. Ero un po' stanca, avevo bisogno di un immersione profonda. Decido di partire per Londra. Un viaggio durato un anno, un viaggio particolare, differente, sofferto, un anno di prova da molti punti di vista. Lo ricordo principalmente come un viaggio di sofferenza, in una citta' che non sentivo mia, da nessun lato, con una lingua che non conoscevo, in un compromesso profondo di moltissime e differenti culture che alla fine ho quasi odiato. Quei luoghi, quegli occhi, quei gesti e quei passi, cosi frettolosi, non erano e non sarebbero mai diventati i miei. Avevo smesso di fare compromessi, sembrava!!! Ed e' stato vero!!! E' durato praticamente 365 giorni il viaggio londinese: 13 Dicembre 2005- 13 Dicembre 2006 quando decido di abbandonare tutti i compromessi che avevo accettato in quel tempo. Destinazione Danimarca. Qui comincia il VIAGGIO e la CATARSI.
quarta-feira, 5 de agosto de 2009
Por MIRO (Belmiro Refeba Jorge)
Maputo, 29 Julho 2009
Morreu ontem ...
Nâo, non posso começar escrever de MIRO com a palavra morreu.
Conheçi o Miro algumos mêses atras, trabalhando juntos com ele por 15 dias. De verdade nâo conheço Miro, mas é por aquele pouco que trabalhamos juntos o achei uma pessoa, um homem muito simple e humile.
A postura dele, sempre assim perfecto, o atteggiamento sempre assim lindo e educado, o seu grande cabelo que lhe cobriva a cara, e o falar sempre assim pacado.
A semana passada o encontrei na rua, eu sempre de corsa de bicicleta até nâo parar para lhe comprimentar, mas só uma mão levada a dizer ciao miro estas bem sim ok falamos, e hoje me pento de nâo ter parado aquele dia.
Encontro um nosso amigo comum e me diz tina... Miro nâo esta mas connosco...nâo entendo...sim...morreu ontem no hospital.
Nâo acredito.
Invez sim...MIRO nâo esta mais connosco...foi para um outro lugar.
Trabalhamos bem juntos, a peça do seu grupo foi aquela que mais gostei porque cheia de realidade, de ideias: a sua dança assim leve, assim expressiva ate deixar o publico ficar a boca aberta.
Assim vai em bora um amigo, tambêm se nâo o conheçi bem, vai em bora um dançarino que muitos amaram até na Europa. Vai em bora um homem muito jovem para morrer e nos deixar aqui a viver esta vida.
Ainda nâo acredito, e nunca vou acreditar que nâo o posso mas encontrar fisicamente...mas sempre vai ficar na minha alma.
Ciao Miro.
Riposa in pace.
Tina
quarta-feira, 29 de julho de 2009
Dove vanno tutte queste macchine!!!
Pedalo in bicicletta e il traffico si fa sempre più intenso.
Mi chiedo dove andranno tutte queste macchine.
La città di Maputo in realtà non è molto grande: il centro ancora meno e lo si protrebbe percorrere in meno di un'ora in bicicletta.
Guardo tutte queste macchine, respiro il loro smog, inquino le mie orecchie al rumore che fanno e al semaforo comincio a sognare. Che bella sarebbe Maputo in bicicletta: se tutti invece di usare la macchina usassero la bici.
Ops...scattato il verde Tina... il sogno è terminato: è solo durato pochi minuti!!!
quinta-feira, 16 de julho de 2009
Estou a pedir boleia!!!
Sempre tive uma bicicleta na minha vida. Lembro a primeira, no meu segundo ou terçeiro aniversario, os meos pais me ofereçeram uma bicicleta blu, uma RITMO blu. Ainda tinha as rodas ao lado...acho porque ainda nao sabia ir de bicicleta.
Na campanha da minha avò sempre tivemos aqueles Mountainbikes que todos nos, sobrinhos e netos usavamos.
Ma os meos avos, os pais do meu pãe me ofereçeram uma bicicleta côr de rosa aos 12 ou 13 anos, nâo lembro bem. Uma GRAZIELLA, assim a chamavamos.
Passou a escola primaria e a secundaria ser ter lembrança de bicicleta alguma.
So quando aos 16 anos mudei para Italia do centro deixando a casa dos meos pais para ir estudar fora, voltei a ter uma bicicleta.
Uma bicicleta que a minha nova mã Marina me-emprestou para ir para escola e voltar para casa.
Gostavo muito de ir de bicicleta também porque moravo perto do mar e aquela rua que costumava fazer era perto da praia, era linda.
Passei 3 anos assim atè mudar-me para Bologna.
Bologna, anos fantasticos ligados a Universidade. A primeira coisa que fiz depois ter encontrado trabalho foi comprar uma bicicleta: lembro que era uma fantastica mountainbike feminina: a primeira de muitas.
Naquela altura trabalhava de noite, muitas vezes atè 1 hora e a area nâo era muito tranquilla: a estação de comboios da cidade. Mas nâo moravo muito longe: eram só 5 minutos de bicicleta.
Passei 6 anos naquela fantastica cidade. Lembro ter mudato muitas bicicleta porque era costume -acho ainda- roubar as bicicletas. Mudei 6 ou 7 bicicletas. No inicio chorava muito quando voltando do trabalho ou da biblioteca nâo a encontravo, mais tarde começei me-acostumar. Uma vez a encontrei nas mãos de um espanholo Erasmus...a reconheçi e começei a correr atrás dele. A comprei de volta a 10 Euros.
Noite e dia ia de bicicleta: fazia 7 kilometros quando mudei para periferia da cidade. Saia cedo de manhá com uma pasta grande grande, ia para faculdade, as vezes voltavo para casa por me mudar de roupa e sair de novo, muitas outras nâo voltavo logo, mas curtivo a noite e voltavo as 4 ou 5 horas de manhá. Sempre de bicicleta.
Ninguem nunca me pediu uma boleia, ninguem ria porque era normal ver uma mulhere ou um homem de bicicleta!!!
Acabou a Universidade, deixei a minha bicicleta a um caro amigo e né sei que aconteçeu depois.
Mudei para Londres chorando e sem bicicleta. Em londres nunca usei bicicleta, só chorei muito, acho, também para a falta do meu meio de trasporte, da minha liberdade.
Depois 365 dias deixei Londres, mudei de novo, esta vez Dinamarca: là nao precisava de bicicleta. Ja vivia no meio na natureza: caminhava muito de pé, visitavo muito o mar a 5 minutos da nossa casa...10 meses e Africa.
Passei 1 ano e meio sem bicicleta até começar a ter vontade do meu meio de trasporte. Morava con Gonçalo e acho depois um tempinho ele nâo consegiu mais ouvir-me falar de bicicleta e comprou-me uma: UMA BICICLETA VERMELHA. O presente mais lindo que alguem podia me fazer.
O primeiro dia, acho do mes de Fevereiro ou Março, pedalei Maputo pela primeira vez
UAUUUUUUUUUUUUUUUHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!
E como ver a cidade de um outro lado, de um outro ponto de vista: mais em cima de um peão , mais livre de um automobilista. Mais a contacto com a realidade, com a calor, com a ventania, a poluiçao. Mais perigoso.
As primeiras vezes todo o mundo ria: ouvia só sons que diziam “xiiiii...ahuena...ishhh...”. Foi uma novidade pela cidade. Uma mulhere e ainda mulungu!!!Mas quando viajei para Quelimane, no centro do Pais encontrei só mulheres de bicicleta! Maputo è diferente: Maputo é cidade, è o Sul, é terra de Machangana. Muitas poucas pessoas vao de bicicleta e so homens.
Depois o rir inicial começou uma frase comum que dizia “...vao te matar!!!...” Ouvi estas palavras acho por 3 semanas. Além disso, crianças que olhavam espantadas: lembro um menino que enquanto lhe passei de lado abriu assim grandes os olhos e a boca como se fossi um pesadelo. Continuei a pedalar, mudei de casa e a distancia aumentou mas continuei e continuo a pedalar.
Pedalar nao é caminhar, claro, caminhar é poder colher todos as vozes, todas as côres, todos os cheros, todos os ruidos, tudo!!!
Pedalar é diferente: è enfrentar a realidade com um pouco mais de força e energia. Especialmente numa realidade como Maputo. Nunca vou esqueçer a pergunta que um meu colega me fez dias atras: “ Mas voce è casada?” ahh pensei um outro moçambicano que quere casar.... nâo era... só queria saber se ero assim livre, sem familia, sem marido e filhos por ir na rua de bicicleta. “ahhh...voce nao è casada...agora entendo porque vai de bicicleta” nao tenho nada a perder alèm da minha vida!!! Come se a minha vida nâo costasse muito.!!!
Depois os dois primeiros meses mudou-se a frase e agora todo o mundo pede boleiaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!
A white com a bike.....da la boleia, da boleia, da boleia, da boleia,..........
todo o mundo quere boleia mas poucos poucos te respeitam...è raro que nao passa um dia sem que eu nâo ango com um automobilista...que seja um meu colega, uma mulhere....a bicicleta nao esiste neste mundo maputense.....
So me fazem companhia as crianças da rua que ao parar ao semaforo vem a ter comigo...mãe por favor da la algo xtou com fome....me da boleia......
Mas de verdade tudo o mundo tem medo das bicicletas pejore de um carro: assustam todos....é fora da cultura do Sul do Moçambique.
Mas eu continuo a pedalar a minha vida tambem em Africa e olho esta realidade da minha bicicleta vermelha e ...
A LUTA CONTINUA!!!
segunda-feira, 13 de julho de 2009
sábado, 11 de julho de 2009
Vivo Moçambique ha dois anos.
Chegei em Africa como uma criança que pela primeira vez abre os olhos a nova vida.
Olhei a realidade em frente de mi como a minha realidade, como algo que ja tinha vivido, como algo que me-pertencia.
No outro lado, naquele que chamam o primeiro mundo tinham medo que ia apanhar umo shok cultural muito forte.
Shok?
Quando devagar passamos a fronteira com a Africa do Sul eu senti como se estava entrando em casa.
Mulheres com baldes na cabeça, crianças, muitas, brincando nas ruas e lixo em cada lugar.
Lembro as primas lembranças.
Vivi na Machava por seis meses, vivi intensamente e tentei trabalhar como tal.
Aprendi algumas palavras em Changane, tentei instaurar amizades com os meus estudantes...
Enamorei-me de Matutuine, tentei cozinhar xima e comi com as maos.
Acreditei em mi e nas minhas posibilidades.
Apanhei um chapa e foi para Beira, sozinha, passando para Inhambane.
Encontrei as minhas colegas e fique feliz.
Voltei para Maputo com medo...o medo de voltar para aquele primeiro mundo de onde chegei.
Decidi lutar contra o medo e pegar a minha primeira decisao de mulher: EU FICO AQUI!
Vivo Moçambique ha dois anos e sento-me mudata!
Chegei em Africa como uma criança que pela primeira vez abre os olhos a nova vida.
Olhei a realidade em frente de mi como a minha realidade, como algo que ja tinha vivido, como algo que me-pertencia.
No outro lado, naquele que chamam o primeiro mundo tinham medo que ia apanhar umo shok cultural muito forte.
Shok?
Quando devagar passamos a fronteira com a Africa do Sul eu senti como se estava entrando em casa.
Mulheres com baldes na cabeça, crianças, muitas, brincando nas ruas e lixo em cada lugar.
Lembro as primas lembranças.
Vivi na Machava por seis meses, vivi intensamente e tentei trabalhar como tal.
Aprendi algumas palavras em Changane, tentei instaurar amizades com os meus estudantes...
Enamorei-me de Matutuine, tentei cozinhar xima e comi com as maos.
Acreditei em mi e nas minhas posibilidades.
Apanhei um chapa e foi para Beira, sozinha, passando para Inhambane.
Encontrei as minhas colegas e fique feliz.
Voltei para Maputo com medo...o medo de voltar para aquele primeiro mundo de onde chegei.
Decidi lutar contra o medo e pegar a minha primeira decisao de mulher: EU FICO AQUI!
Vivo Moçambique ha dois anos e sento-me mudata!
terça-feira, 9 de junho de 2009
Primeira visita a cadeia em Maputo
Maputo, 9 Giugno 2009
Un giorno uggioso qui a Maputo, una pioggerellina fastidiosa che mi ricorda il terribile inverno londinese e un freddo inconsueto, che quasi avevo dimenticato.
Da due giorni faccio parte dell'equipe che legalizza gli arresti nella Cadeia Civil di Maputo. Infatti l'IPAJ (Instituto Patrocinio Assistencia Juridica), oltre a dare assistenza giuridica a chi non avendo mezzi economici, non può permettersi un avvocato, ha costituito due equipes: la prima attua la legalizzazione degli arresti che vengono effettuati giornalmente dalla polizia; la seconda aiuta i reclusi nella richiesta al giudice di libertà provvisoria sotto cauzione.
Vengo inserita, quindi, nell'equipe del Dottor Arturo che Lunedì comincia a spiegarmi quale in realtà è il nostro compito. Passiamo al Tribunale, sezione SIC (Sessao Instrucao Criminal), per ottenere informazioni sulle ultime decisioni del Giudice: rilascio o conferma della carcerazione preventiva? Lì ci accoglie una signorina ben vestita la quale farfugliando alcune parole, decide categoricamente di non darci le informazioni richieste. Sarà che la Dott.essa Tina, mulungo, ha generato, indirettamente, alcune complicazioni? Dato anche la conferma, da parte del Dottor Arturo, il quale mi dice che è la prima volta che si rifiutano di dare informazioni a riguardo? Ci penso un po', quasi mi viene di dirgliene quattro, in realtà sono così contenta che dimentico subito!!!
Torrniamo in ufficio. Arturo deve andare in Tribunale, così ci diamo appuntamento alle 11.00 per preparare le richieste di libertà provvisoria e andare alla Cadeia Civil. In effetti abbiamo deciso di agire dal di dietro per evitare altre risposte negative, dirigendoci direttamente alla prigione.
12.30 CADEIA CIVIL de MAPUTO
Alte mura bianche e una gran portone verde con in alto la scritta CADEIA CIVIL, caratterizza l'Avenida Kim Mi Sung a Maputo.
E' un giorno particolare per me, che ho aspettato tanto per realizzare questo sogno. E mi sento, non so, in realtà non riesco a capire. Tante sensazioni, ma sicuramente la coscienza di aver fatto un gran passo.
Aspettiamo che il gran portone sia aperto da una delle guardie ed eccomi entrare in prigione. Questa volta non Porto Azzurro, nell'isola d'Elba, in Italia, ma Maputo, in Mozambico, nell'Africa Australe.
Il verde e il bianco chiarissimi, quasi splendenti del di fuori si contrappone al verde e al bianco sporchissimo del di dentro. Come a segnalarti il confine tra due mondi, già!!! Lì, proprio sulla soglia di quel portone di ferro, così possente. Io e il Dottor Arturo, quindi, entriamo. In realtà non ricordo neanche se ci fossero altre persone lì con noi...no penso proprio di no!!! Ci “accoglie” una signora, una mamaafrica, nella sua gonna fatta con una coperta, sì, come quelle che noi usiamo per coprirci a letto o sul sofà. qui in Africa, invece, è molto comune vedere donne infagottirsi in quelle coperte, nei periodi più fredde dell'anno. Alcune facce mi guardano, non così male, poi, in realtà mi aspettavo di peggio, come richiesta di documenti, di passaporto lì all'entrata, invece nulla, proprio nulla.
Le pareti nere, un'entrata a croce greca, pochissima luce arrivare dall'ala che si apre dopo il transetto.
23/07/2009
Rientro in quella prigione e mi chiedo ancora e sempre lo farò: " ma che invenzione é questa!?".
Mi guardo attorno, osservo occhi, movimenti e richieste di aiuto e non mi viene neanche da piangere. Non più.
Divise nere con una scritta bianca così pallida che non si riesce a vedere con su scritto RECLUSO, terra rossa così rossa che ti entra negli occhi facendoti male tanto il colore é intenso.
Un giorno uggioso qui a Maputo, una pioggerellina fastidiosa che mi ricorda il terribile inverno londinese e un freddo inconsueto, che quasi avevo dimenticato.
Da due giorni faccio parte dell'equipe che legalizza gli arresti nella Cadeia Civil di Maputo. Infatti l'IPAJ (Instituto Patrocinio Assistencia Juridica), oltre a dare assistenza giuridica a chi non avendo mezzi economici, non può permettersi un avvocato, ha costituito due equipes: la prima attua la legalizzazione degli arresti che vengono effettuati giornalmente dalla polizia; la seconda aiuta i reclusi nella richiesta al giudice di libertà provvisoria sotto cauzione.
Vengo inserita, quindi, nell'equipe del Dottor Arturo che Lunedì comincia a spiegarmi quale in realtà è il nostro compito. Passiamo al Tribunale, sezione SIC (Sessao Instrucao Criminal), per ottenere informazioni sulle ultime decisioni del Giudice: rilascio o conferma della carcerazione preventiva? Lì ci accoglie una signorina ben vestita la quale farfugliando alcune parole, decide categoricamente di non darci le informazioni richieste. Sarà che la Dott.essa Tina, mulungo, ha generato, indirettamente, alcune complicazioni? Dato anche la conferma, da parte del Dottor Arturo, il quale mi dice che è la prima volta che si rifiutano di dare informazioni a riguardo? Ci penso un po', quasi mi viene di dirgliene quattro, in realtà sono così contenta che dimentico subito!!!
Torrniamo in ufficio. Arturo deve andare in Tribunale, così ci diamo appuntamento alle 11.00 per preparare le richieste di libertà provvisoria e andare alla Cadeia Civil. In effetti abbiamo deciso di agire dal di dietro per evitare altre risposte negative, dirigendoci direttamente alla prigione.
12.30 CADEIA CIVIL de MAPUTO
Alte mura bianche e una gran portone verde con in alto la scritta CADEIA CIVIL, caratterizza l'Avenida Kim Mi Sung a Maputo.
E' un giorno particolare per me, che ho aspettato tanto per realizzare questo sogno. E mi sento, non so, in realtà non riesco a capire. Tante sensazioni, ma sicuramente la coscienza di aver fatto un gran passo.
Aspettiamo che il gran portone sia aperto da una delle guardie ed eccomi entrare in prigione. Questa volta non Porto Azzurro, nell'isola d'Elba, in Italia, ma Maputo, in Mozambico, nell'Africa Australe.
Il verde e il bianco chiarissimi, quasi splendenti del di fuori si contrappone al verde e al bianco sporchissimo del di dentro. Come a segnalarti il confine tra due mondi, già!!! Lì, proprio sulla soglia di quel portone di ferro, così possente. Io e il Dottor Arturo, quindi, entriamo. In realtà non ricordo neanche se ci fossero altre persone lì con noi...no penso proprio di no!!! Ci “accoglie” una signora, una mamaafrica, nella sua gonna fatta con una coperta, sì, come quelle che noi usiamo per coprirci a letto o sul sofà. qui in Africa, invece, è molto comune vedere donne infagottirsi in quelle coperte, nei periodi più fredde dell'anno. Alcune facce mi guardano, non così male, poi, in realtà mi aspettavo di peggio, come richiesta di documenti, di passaporto lì all'entrata, invece nulla, proprio nulla.
Le pareti nere, un'entrata a croce greca, pochissima luce arrivare dall'ala che si apre dopo il transetto.
23/07/2009
Rientro in quella prigione e mi chiedo ancora e sempre lo farò: " ma che invenzione é questa!?".
Mi guardo attorno, osservo occhi, movimenti e richieste di aiuto e non mi viene neanche da piangere. Non più.
Divise nere con una scritta bianca così pallida che non si riesce a vedere con su scritto RECLUSO, terra rossa così rossa che ti entra negli occhi facendoti male tanto il colore é intenso.
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